UBERTO BONETTI
Nasce a Viareggio il 31 gennaio del 1909.
Il padre, Pietro, è di Pistoia; la madre, Maria Teresa Giannessi, viareggina.
Frequenta l’istituto di Belle Arti di Lucca, iniziando ben presto a collaborare come disegnatore con scultori e architetti.
Dopo gli studi è attivo nella grafica pubblicitaria, mentre le sue caricature appaiono su giornali nazionali come LA TRIBUNA.
Decisivo l’incontro, poco più che ventenne, con il futurismo.
Particolarmente rilevanti, per gli influssi che esercitano sul giovane Bonetti, sono le figure di Depero e Thayath.
Il primo (1892-1960), esponente di spicco del cosiddetto “secondo futurismo”, è tra i firmatari del manifesto dell’aeropittura e studiò le applicazioni dei principi dell’avanguardia alla grafica, alla pubblicità, alla scenografia.
Il secondo (il cui vero nome è Ernesto Michahelles), nato a Firenze nel 1893 da genitori anglosvizzeri e morto a Marina di Pietrasanta nel 1959, è una singolare figura di inventore e intellettuale: nel 1919 inventa la tuta a linee rette, fatta di un solo pezzo, abito futurista destinato ad avere una grande fortuna per tutto il secolo e oltre, che doveva rispondere a criteri di razionalità e anti-tradizionalismo.
Nel 1930, all’inaugurazione di una mostra di Lorenzo Viani, conosce Filippo Tommaso Martinetti. Nel vivace milieu intellettuale della Viareggio anni Trenta frequenta anche, oltre a Lorenzo Viani, Luigi Pirandello.
Sperimenta l’aeropittura nel 1932, con disegni acquerellati dedicati a voli su alcune città italiane: suggestioni destinate a confluire nella sua attività di grafico pubblicitario.
Quando gli si chiedeva : " Cos’è l’Arte? " rispondeva in questo modo:
“E’ difficile rispondere…è tutto, il riflesso del Mondo.
Per me è soprattutto armonia.
Cioè ritmo e colore e naturalmente amore.
…Insomma non lo so cos’è l’arte ma ne avverto la magia quando dipingo…
…ecco, è allora che senza esserne cosciente sento cosa è l’Arte.
Così se me lo chiedono non lo so, ma se non ci penso invece ne ho quasi un’idea precisa, ma appena decido di parlarne in un attimo si dissolve…”
TUTTO E DI PIU’ SU "BURLAMACCO”
La strada per arrivare alla nuova maschera non passa attraverso lo studio dell’anatomia: Burlamacco è, in effetti, il suo abito, un abito tubolare che ricorda la tuta di Tahyaht e gli esperimenti di Depero e risulta dallo studio geometrico di cilindri e cerchi.
C’è anche la tradizione, in un mix che pesca dalla Commedia dell’Arte.
Il motivo a scacchi dell’abito rimanda ad Arlecchino, anche se la policromia è eliminata a favore dell’alternanza di bianco e rosso;
Il mantello nero è quello del Dottor Balanzone, la gorgiera è presa a prestito da Capitan Spaventa, mentre il cappello è un incrocio fra il berretto di Rugantino, la feluca, la “lucerna” dei carabinieri e il copricapo dei marinai viareggini.
La lezione futurista emerge chiaramente dalla nettezza del segno e dai colori, pochi e decisi: il rosso, il bianco e il nero. I primi due sono ispirati, per ammissione dell’autore, alle maglie dei bagnini e alla tela degli ombrelloni e delle tende.
La nuova maschera (il nome Burlamacco non c’è ancora, arriverà solamente nel 1939) vince il concorso e compare in forma dinamica nel manifesto ufficiale del Carnevale del 1931.
Gli sta di fianco una snella bagnante in costume azzurro, che sarà chiamata Ondina, simbolo della Viareggio estiva che fa da contrappunto alla manifestazione invernale.
Il Burlamacco ha subito successo ed è apprezzato per il mirabile equilibrio fra innovazione e tradizione.
È originale per certi segni grafici inequivocabilmente d’avanguardia e allo stesso tempo riusce a parlare con tutti.
È l’ultima nata fra le maschere italiane e porta le stimmate del Futurismo.
Gli manca soltanto il nome, che gli sarà dato ufficialmente dal suo creatore nel 1939, quando Burlamacco viene accolto tra le maschere d’Italia, con una cerimonia al teatro Comunale di Firenze.
Il nome Burlamacco discende da Buffalmacco, amico-nemico di Calandrino nel Decamerone di Boccaccio. Si ricorda, ed il fatto non è di secondaria importanza, che l’autore proprio negli anni in cui la maschera prende forma, svolge la sua brillante attività di disegnatore e caricaturista firmando alcuni suoi lavori con lo pseudonimo “Burlamacco”.
Il manifesto del 1931 è così apprezzato che viene replicato senza modifiche anche negli anni che vanno dal 1932 al 1935, nonché nel 1961, in occasione del trentesimo anniversario della creazione della maschera.
Ma il contributo di Bonetti alla cartellonistica del Carnevale non si limita a Burlamacco.
Nel 1937 firma un manifesto nel quale una maschera ha la forma di una vela stilizzata sul mare; l’anno successivo ecco un pagliaccio dal volto verde e rosso, mentre l’immagine del 1939 mostra un Pierrot festante con elementi della Viareggio marinara: una vela e un faro.
Nel 1940 Burlamacco riappare sul manifesto ufficiale e, per effetto di un montaggio fotografico sembra camminare sulla folla della sfilata. Burlamacco è solo, senza Ondina, ed è una macchia bianco-rossa in un’immagine bianco e nero.
Alla ripresa del Carnevale, dopo l’interruzione dovuta alla guerra, ecco ancora il Burlamacco sul manifesto, sempre firmato da Bonetti, nella classica posizione a X, su un semplice sfondo bianco. Nel dopoguerra e fino al 1992, Bonetti è autore della quasi totalità dei manifesti ufficiali del Carnevale. Le eccezioni sono poche, meno di una decina. E anche quando Bonetti non firma, spesso la sua maschera appare in piccolo nell’affiche, svolgendo la funzione di “logo”, marchio del Carnevale, come nel 1948, nel manifesto ideato da Cantini.
Tra i manifesti di Bonetti nel dopoguerra, Burlamacco torna protagonista a intermittenza:
nel 1947 fa un balzo tra pineta, mare e spiaggia;
nel 1954 guida un corteggio di maschere variopinte, nel 1956 incede allegro su un’immagine stilizzata del corso;
nel 1967 viene scomposto dal suo autore in una serie di geometrie colorate, in una composizione grafica elegante e ricercata, sospesa fra neodadaismo e “pop-art”.
Nel 1968 un’altra immersione nelle correnti artistiche del tempo: Bonetti interpreta Burlamacco secondo i canoni della Optical Art, pure linee dinamiche danzanti, in una composizione cinetica che comprende una bagnante e un Pulcinella stilizzato.
Nel 1973, anno del Centenario del Carnevale, nuova superba trasformazione di Burlamacco, che sembra uscire dal manifesto.
Nel 1979 i Burlamacchi sono multipli e lanciano stelle filanti.
Nel 1981 Bonetti non cessa di stupire ed estrae dalla manica una nuova interpretazione della sua creatura: Burlamacco ha perduto il mantello e danza sulle onde; al suo fianco riappare Ondina, ma stavolta in un bikini ridottissimo.
Nel 1990 un’altra variante, l’ultima ideata dal maestro: Bonetti restituisce il mantello a Burlamacco, che avanza frontalmente, sorridente, portando nella mano destra una maschera. Da ricordare anche gli omaggi e le interpretazioni di Burlamacco dovuti ad altri autori.
Ma Uberto Bonetti non è solo l’autore di Burlamacco, è anche autore di numerosi bozzetti di carri, sviluppati soprattutto nel periodo compreso tra le due guerre mondiali, e facilmente riconoscibili perché sempre caratterizzati da un segno accattivante e piacevolissimo. Bonetti, che firmò anche copertine della rivista ufficiale del Carnevale e scenografie per
Oltre ad essere pittore, grafico, caricaturista, autore di bozzetti pubblicitari, Bonetti ha svolto l’attività di scenografo (o “architetto” come si diceva allora) nel cinema. Amico della famiglia Forzano, il cui patriarca Giovacchino fondò Tirrenia, la città del cinema in riva all’Arno, Bonetti entrò negli studios toscani nel 1937, realizzando le scenografie di vari film.
Dal 1957 al 1975 è stato docente all’Istituto Tecnico per Geometri di Lucca. Dalla fine degli anni Settanta ha insegnato disegno dal vero ed educazione visiva all’Istituto Statale per l’Arte di Pietrasanta; in seguito ha ottenuto la cattedra di disegno architettonico all’Istituto d’Arte di Faenza.
Muore il 10 aprile 1993.
Umberto Guidi